Prendete due gruppi di tifosi, di Chelsea e Manchester United, che abbiano tifato la propria squadra per una media di quindici anni avendola vista giocare almeno 25 volte. Ficcateli dentro uno scanner per la risonanza magnetica cerebrale e mostrate loro un video con le azioni salienti delle partite tra blu e rossi. Chissà cosa deve esser passato nella testa di un’equipe dell’Università di York, forse la noia, i fondi a pioggia o la pioggia inglese – quella vera – che impediva a Timothy Andrews e ai suoi di uscire all’aria aperta.
Fatto sta che questo esperimento sociale è stato condotto davvero, con l’obiettivo di capire quali aree del cervello, e come, fossero interessate nel processo del tifo. Roba cervellotica, da scienziati che non vanno neppure al bagno senza che la Scienza abbia spiegato loro perché è necessario farlo. Comunque dallo studio è venuta fuori una cosa interessante: mentre le regioni cerebrali deputate alla visione si comportavano nello stesso modo (i due gruppi vedevano le stesse azioni), le aree riservate alle funzioni cognitive reagivano in maniera assai diversa.
Per dirla in termini pseudo-filosofici anziché neurologici: non esistono fatti ma solo interpretazioni. I due gruppi guardavano e riconoscevano la stessa partita, ma al momento di un contatto dubbio vedevano due cose diverse: gli uni erano sicuri del rigore, gli altri della simulazione. Per usare le parole del professor Tim Andrews:
«Quando compariamo l’attività cerebrale dei tifosi della stessa squadra e di quelli di squadre rivali, vediamo che nelle regioni sensoriali del cervello è coerente per tutti i partecipanti – o, in altre parole, tutti vedono e ascoltano la stessa partita. Tuttavia nelle regioni frontali e sottocorticali del cervello – incluse le aree note per essere attive nel sistema di ricompensa, nell’autoconcetto e nel controllo del movimento – c’era una correlazione tra i tifosi della stessa squadra, ma differenze significative tra i due gruppi».
«Questo è ciò che permette a fan di squadre rivali di sviluppare una diversa interpretazione della stessa partita».
Le conclusioni della ricerca, sostanzialmente, attestavano come alcune aree del cervello risultassero influenzate da pregiudizi, ideologie, appartenenza etc., riconoscendo nella mentalità di gruppo un istinto umano primordiale conservato pressoché intatto durante la nostra evoluzione. Partiamo però dall’inizio.