Dalle parti di Millwall, o sei del Millwall o sono guai. E che altro ti potrebbe dire uno dei ragazzi della zona? Alti, robusti, senza peli sulla lingua. Quantomeno se si dà credito ad un accento duro, che rimescola le parole in bocca e sembra sputarle da una fessura strettissima fra i denti. Si dice solo quello che ci passa attraverso dalle parti di Cold Blow Lane, nell’East-End di Londra. E non una parola di più.
Lì dove il Tamigi si piega in una ‘U’ quasi perfetta, intrappolando un lembo di terra che prende il nome di Isle of Dogs. Per qualcuno il lascito di Enrico VIII, che secondo la tradizione vi faceva allevare i propri cani da caccia; più probabilmente la storpiatura del termine “docks”, dovuta alle tante banchine che puntellano quell’ansa di fiume preparandone la fuga verso l’estuario.
Se quelle banchine potessero parlare, ne avrebbero da dire a bizzeffe sul quartiere di Millwall e sulla sua squadra di calcio, ma è probabile che per la riservatezza imparata dalla gente che nei secoli le ha costruite, abitate e avute come sepoltura, se ne starebbero comunque in silenzio.
E se pure vincessero il riserbo, la loro non sarebbe certo una storia di eroi portati in trionfo, ma di bacheche lasciate a prendere la polvere e il fango che insozza i calzettoni fin sopra alle ginocchia. Fare un riassunto del Millwall Football Club è facile: se si escludono due apparizioni nella massima serie tra il 1988 e il ’90, una finale di F.A. Cup (persa) e una rapidissima apparizione in Coppa Uefa, si barcamena tra la seconda, la terza e la quarta divisione per quasi la totalità delle sue partecipazioni a un campionato ufficiale.
Le sue radici sono profonde e raccontano di un passato che risale al 1885. Dickens è morto da poco, ma l’Isola dei Cani continua a pullulare di anonimi personaggi usciti dai suoi romanzi, che nei cantieri navali della zona battono ferro a ritmi serrati in cambio di un salario da fame. Lì si fabbricano le navi che una volta messe in acqua portano la Union Jack in ogni angolo del pianeta; e lì si raccolgono e smistano le merci d’importazione, come ossigeno da immettere nel sangue di un Paese.