L’episodio è arcinoto: Leao e Theo Hernandez dopo essere stati panchinati da Fonseca all'inizio di Lazio-Milan si sono esibiti in una polemica silente, isolandosi dal resto della squadra durante il cooling break. Le scuse e le giustificazioni hanno raggiunto i microfoni pochissimi minuti dopo l'accaduto, ma le spiegazioni accampate dal francese sembrano più quelle di un bambino colto con le mani dentro la marmellata che di un professionista rammaricato per aver perso la lucidità.
La questione, unita ai deludenti risultati di questo avvio di campionato, ha sollevato il velo di maya sulla polveriera rossonera.
“Il Milan non ha leader” ha detto a Pressing l'ex Juve Tacchinardi, mentre a Sky Paolo Di Canio ha attaccato a muso duro il comportamento dei due giocatori: “È una vergogna, totale delegittimazione dell’allenatore, i compagni nello spogliatoio dovrebbero attaccarli al muro, si sentono declassati da loro e dal loro atteggiamento” (riassunto).
Il Milan sembra essere sprofondato nella più totale anarchia, tattica sì, ma anche comunicativa e di immagine. Dal mercato servivano segnali forti, la punta doveva essere una dichiarazione di intenti della società, a Milanello è invece sbarcato il solito mix fra giovani promettenti e occasioni di mercato; la solita moneta lanciata in aria dall'algoritmo, che può atterrare sui Pulisic e sui Reijnders, ma anche sugli Origi e i Pellegrino. E poi, aggiungiamo: chi comanda fra Ibra, Furlani e Moncada? Qual è il vero ruolo di Zlatan? Quali sono le intenzioni di Cardinale? Il Milan sembra una nave stipata di ufficiali ma senza generali, che naviga a vista verso una meta non ben definita.
Insomma, nonostante la cronaca di campo abbia rimesso in circolo il vento della polemica, la crisi d'identità del Club rossonero ha radici molto profonde.
L'inizio della fine porta la data del 13 maggio 2012, quando al termine di Milan-Novara Filippo Inzaghi, Alessandro Nesta, Clarence Seedorf e Gennaro Gattuso (oltre a Zambrotta e Van Bommel) diedero l'addio alla maglia rossonera. Un momento chiave che segna la vera fine del ciclo berlusconiano, trascinatosi agonizzante per altri quattro anni, la conclusione di oltre un ventennio di vittorie e dominio.
Da quel giorno il Milan non è più riuscito a trovare sé stesso e tra difficoltà sportive e societarie il Diavolo ha a lungo brancolato alla ricerca di una luce. Emblematica a questo proposito la scelta, nella stagione 17/18, di affidare a Leonardo Bonucci la fascia di capitano.
Un periodo buio la cui unica oasi è stata la fase Elliott. L'allineamento di una proprietà centrata, dei dirigenti preparati, un allenatore affamato e una serie di giovani calciatori promettenti ha portato allo Scudetto e a quella che sembrava l'apertura di un nuovo ciclo vincente, ma solo un anno dopo tutto era già sprofondato di nuovo nel caos.
Oggi proprio Paolo Maldini sembra la panacea di tutti i mali e in molti ascrivono all'addio del capitano rossonero l'inizio della nuova crisi. Il 3 rappresentava un monumento del milanismo, ed era un interlocutore privilegiato nelle trattative oltre che una presenza importante all'interno dello spogliatoio. Ma non dimentichiamo che è sotto la guida di Paolo Maldini che il Milan è arrivato quinto in campionato, sono i tempi dell'umiliazione nei derby di Champions, di Lazio-Milan 4-0, di Milan-Sassuolo 5-2, e l'ultimo mercato firmato Maldini-Moncada ha portato in dote De Ketelaere, Thiaw, Vranckx, Origi e Dest.
In più già da allora faceva specie l'atteggiamento dei calciatori rossoneri, in particolare l'arrendevolezza con cui affrontavano e affrontano i cugini. Nonostante le continue sconfitte, nei derby il Milan sembra senz'anima e i calciatori rossoneri sembrano perdere la stracittadina come si perde un'amichevole. Unici lampi in questo mare di apatia la rissa finale dell'ultimo derby che ha coinvolto Dumfries e Theo Hernandez e la rabbiosa esultanza di Tomori dopo il gol.
Luigi Garlando poi, sul canale YouTube della Gazzetta, ha individuato il problema nell'assenza di senatori: “Lasci andar via Donnarumma, lasci andar via il tuo capitano, Tonali... Ci voleva una visione più lunga quando avevi in casa italiani che potevano diventare capitani”.
È indubbio che al Milan manchino giocatori carismatici e attaccati alla maglia, ma davvero la soluzione sarebbe stata Donnarumma? Uno che alla prima occasione ha puntato i piedi per poi lasciare a zero? Davvero il capitano che manca al Milan sarebbe Tonali? Uno che mentre la sua squadra arriva quinta in campionato scommette sulla stessa, mettendo a serio rischio oltre che se stesso anche i compagni e la società intera? Piuttosto andrebbe fatto il nome di Alessio Romagnoli, che con la fascia al braccio ha subito le critiche e la panchina nell'anno dello Scudetto, e dopo essere stato mandato via come l'ultimo degli scarti è rinato in maglia biancazzurra.
Il Milan deve ritrovare la propria identità, ma questo non vuol dire per forza rimpianti, non bisogna per forza riesumare le icone di un passato glorioso. Gli esperimenti di Inzaghi, Seedorf e Gattuso in panchina dicono tanto in questo senso. Il Milan deve ricostruire dal suo presente, dagli stessi Leao e Theo Hernandez, giocatori di livello mondiale da anni al Milan, che in rossonero hanno vinto e che sul Diavolo hanno creduto.
Non ci si può sempre rifugiare sotto le accoglienti braccia del Milan berlusconiano. L'Inter, al contrario, si è totalmente svincolata dall'ingombrante eredità del Triplete, creando una nuova epica e nuovi eroi. È arrivato il momento di responsabilizzarsi, sempre con un occhio allo stile e ai valori che il Milan ha da sempre rappresentato.
Ora per gli undici personaggi in cerca d'autore serve un condottiero carismatico. Fonseca è già chiamato ad una grande prova, non sul campo ma nello spogliatoio. Se dalla brutta figura di sabato caverà una lezione che servirà a Theo e Leao per fare uno step mentale in più la squadra ne uscirà più unita che mai, altrimenti la stagione potrebbe precipitare.