Tutt’altro che impermeabile alla retorica degli Adani e dei Borghi, il calcio – e quindi il tifo – argentino arriva alle nostre orecchie, giunge alla nostra visione, irrimediabilmente corrotto e distorto. Come una frequenza di mezzo, nella terra di nessuno, come un dipinto acrilico, annacquato. Così, se il fútbol ci è sempre stato raccontato come il calcio autentico, violento, folle, unicamente passionale – nella sua accezione iperbolica, cinematografica – e specchio della sua gente, perlopiù poverissima, popolare, anarchica, il tifo ci è stato tradotto con gli stessi contorni, a tal punto letterari da risultare privi di consistenza.
Il nostro approfondimento, al contrario, vuole essere nient’altro che una descrizione, il più possibile accurata, di ciò che il tifo – e di conseguenza il calcio – significhi davvero in Argentina, e quali siano le sue caratteristiche specifiche, in cosa questo modo di tifare si differenzi da quello brasiliano, ad esempio, e da quello europeo più in generale – ma anche qui, ça va sans dire, bisognerebbe distinguere il tifo tedesco da quello italiano, quest’ultimo da quello dei Balcani, da quello inglese e così via: un compito che ci riserviamo di completare nei prossimi mesi.
Rispetto alle zone geografiche sopracitate, un elemento dirimente si pone subito con la forza di un’evidenza sperimentale alla nostra indagine, quando parliamo cioè di tifo in Argentina: qui, nonostante tutte le possibili somiglianze etnico-culturali con l’Italia e la Spagna, è rimasto pressoché invariato nel corso del tempo uno specifico modo di fare tifo, che sembra isolare questa Nazione, e la passione della sua gente, da ogni altra nel mondo. Non solo per una distanza continentale dall’Europa, perché il tifo argentino è diversissimo anche da quello brasiliano, ad esempio.
In Argentina il primo elemento riconoscibile è senza dubbio la ricchezza poetica e la capacità coreutica delle sue tifoserie, dalle quali non a caso spesso e volentieri l’Europa attinge e trae ispirazione. L’elemento canoro va di pari passo con quello pirotecnico (come ha ben evidenziato la recentissima Copa Libertadores), ed entrambi rimandano all’elemento ancora molto popolare, si direbbe proletario, del tifo argentino. Il dato, anche solo antropologico, non è che lo specchio di un contesto sociale, ed economico, a dir poco delicato.
Club uguale comunità
Come ha scritto recentemente Il Sole 24 Ore, in Argentina – sotto il governo Milei – la povertà è addirittura aumentata, balzando, secondo le ultime stime, al 52.9 %. Il dato è indicativo e contrario per la nostra indagine. Infatti l’Argentina ha dati d’affluenza negli stadi in grado di competere con le migliori realtà europee. Secondo i dati Transfermarkt sono 28.000 gli spettatori medi nel campionato attuale; nella nostra Serie A siamo poco sopra i 29.000, in Spagna lo stesso.
Per quanto riguarda poi la media spettatori per grandi città mondiali, Buenos Aires è al quarto posto con 6 milioni di spettatori (negli ultimi tre anni), dietro solo a Londra (13.3 mln), Milano (6.3) e Madrid (6.1 mln). Come si spiega un simile dato, se non con un amore che supera le fatiche economiche e si fa beffe, soprattutto, della maggiore qualità tecnica e competitiva dello scintillante, ma assai più finto, calcio europeo?
L’amore, certo. Si è detto e ridetto, da queste parti la fede per la propria squadra non è seconda neanche a quella per il Signore Iddio. D’accordo, ma di nuovo: come si spiega, a livello culturale, tutto ciò? Per evitare di sovrainterpretare la realtà, lo abbiamo chiesto al nostro Jacopo Benefico, autore di Contrasti che spesso e volentieri si è interfacciato con la passione di chi popola questa terra. Jacopo ci ha parlato di «visceralità sociale: qui i club sono vere e proprie associazioni civili».