Elogio della Noia
Nel calcio l'attesa del gol è tutto.
Ogni gol è un lampo, un endecasillabo perfetto, una chiusura fulminante di Céline. Il resto, all’occhio avido dello spettatore, altro non pare che la somma di lunghi fraseggi e passaggi ampi. Stopposi come la prosa di Ragazzi di vita, oppure fluviali come le descrizioni di Dostoevskij: ma lente e senza fondo, in attesa della frase che dia senso all’intero capitolo, della mano di Raskolnikov che cala sulla vecchia usuraia di Pietroburgo.
Una partita, anche qualora il livello tecnico sia altissimo, le manovre rapide, i contropiedi feroci, le occasioni da rete innumerevoli, è in realtà un insieme di interminabili momenti morti, di spazi vuoti, su cui di tanto in tanto si scrive un tratto degno di nota – tiro, piroetta, tunnel, parata, palo! Attimi dalle cui labbra pendiamo simili a bambini dinnanzi a una fontana di cioccolato: più ne vediamo, più ne vorremmo.
Ma che sono l’eccezione. Per il resto, sospesi tra un fremito e il successivo, proviamo (fin troppo spesso per i nostri gusti) l’arcinoto sapore della noia.
Con Cioran, diremmo che chi ne fa esperienza conosce il tempo nella sua esasperazione. Quando la velocità latita e le occasioni da rete si invocano digrignando i denti, la lancetta scorre con flemma insopportabile. A bordocampo, tra gli spalti, al polso dell’allenatore e nel taschino dell’arbitro, financo all’angolo in alto a sinistra del teleschermo, tutto continua a ricordarci il ticchettio dei minuti che avanzano. Perlopiù a vuoto, a passo di lumaca, paventando persino lo 0 a 0.

Non è il continuo rimpallo-gol dell’hockey, del tennis o della pallavolo. Ma una guerra di trincea, fatta di lunghe – alle volte lunghissime – attese, di schemi evanescenti, rimbalzi degni di un flipper, errori madornali o meravigliosi gesti destinati a ricordare il monito più celebre di Qoelet. Uno dei rari sport che si concede il lusso di finire a reti inviolate, senza colpo ferire; e, insieme, uno dei pochi in cui un pareggio può valere una vittoria di campionato o, al contrario, elevarsi a madre di tutte le sconfitte.




