Dario Spartan Morello è un pugile scomodo, schietto, anarchico, in poche parole: contrastiano. Veloce di lingua oltre che di braccia, colto, carismatico, ribalta lo stereotipo del pugile buono solo a fare botte. Lo abbiamo intervistato telefonicamente, ci ha risposto dal camp di allenamento da cui sta preparando il suo prossimo match fissato per il 16 novembre.
Nato e cresciuto a Fuscaldo, nella Calabria tirrenica, la sponda di San Francesco di Paola e Brunori Sas, terra di santi, poeti, navigatori e... pugili appunto.
La Calabria è un motivo di gioia quando torno, il posto dove gli amori più viscerali che provo hanno avuto luogo. Ma è anche motivo di tristezza e rabbia, senza scadere nella retorica la Calabria è uno dei posti più belli ma allo stesso tempo meno realizzati d'Italia. Per me che sono un campanilista non potermi vantare del posto da dove vengo ma addirittura a volte dovermene vergognare è motivo di grande frustrazione.
Dario è stato infatti adottato nei suoi vent'anni dalla città di Bergamo. Trasferitosi per amore nel comune orobico ha trovato una realizzazione umana e professionale, e alla domanda se si sente più Morello da Fuscaldo o Morello da Bergamo risponde:
Ad oggi mi sento più Dario Morello da Bergamo, è il posto che mi ha reso uomo e che mi sta aiutando concretamente. L'interezza dei miei sponsor proviene da lì e grazie a loro faccio la vita che serve a un atleta per arrivare ad alti livelli. In questo ahimè la Calabria c'entra ben poco. Spesso prima dei match lo speaker mi chiede: “From Bergamo o from Fuscaldo?”. E io per una questione di correttezza verso la città che mi sta dando la possibilità di fare il professionista dico “from Bergamo”. Questo non vuol dire ripudiare le proprie origini ma dare a Cesare quel che è di Cesare.
Un match in Calabria? Quando?
Ci ho provato, mi piacerebbe tantissimo e sono convinto che se portassimo TAF (The Art of Fighting, l'evento di boxe che ospita i match di Morello) in Calabria non basterebbero i palazzetti più grandi. Ma per fare questo tipo di eventi servono un certo tipo di fondi che solo attraverso la Regione e quindi le istituzioni politiche si possono mobilitare, e ahimè oggi in primis il mio paese e poi altre istituzioni di scala maggiore non hanno mosso un nessun interesse nonostante le numerose proposte e dichiarazioni pubbliche fatte da me e dal mio team.
Già da queste poche poche battute è chiaro che Dario Morello di peli sulla lingua ne abbia pochi...
I latini dicevano la rustica progenie semper villana fuit. Quest'indole è genetica, mio padre è più stronzo di me, e questo modo di fare è parte di me. Dire le cose per quello che penso e non per quello che la convenzione sociale vorrebbe che io dicessi. Attirerò sicuramente più antipatie ma preferisco rimanere fedele al mio ideale.
Un pugile che parla latino è già una rarità. Un'intervista di qualche tempo fa al Corriere della Sera ha definito Morello “Il pugile filosofo”, su quella definizione dice:
Ricordo che durante quell'intervista feci outing dicendo di essere amante della filosofia. Ma più che agli autori classici sono attratto da quella che è la filosofia applicata, quindi più tendente alla sociologia. Ho capito che la filosofia se viene letta e capita può dare chiavi di lettura nelle fattispecie di vita reale, e questo è quello che mi attrae di più di questa materia.
Anarchico e autarchico, da anni ormai ha rinunciato a manager e allenatori. Al suo angolo suo padre e pochi fedelissimi: perché?
Le attenzioni sicuramente non mi dispiacciono, ma ho maturato la decisione di essere free agent perché le mie precedenti esperienze con altri manager hanno fatto sì che io reputassi che fossero figure inutili. Conta guadagnare, vendere i biglietti e io per fortuna riesco a farlo. Grazie ad una serie di amici famosi che mi hanno spinto e mi hanno fatto guadagnare un po' di seguito che io ho saputo tenere dandogli in pasto i risultati sportivi e questo ho valutato fosse più importante di avere manager fittizi come lo sono la maggior parte dei manager in Italia, che l'unica cosa che fanno è prendersi il 30% di quello che guadagni.
Da dilettante hai fatto parte della Nazionale, raccontaci un po’ questa esperienza.
La Nazionale personalmente è stata un'esperienza molto positiva e allo stesso tempo estremamente negativa. Il contesto della Nazionale della mia epoca era completamente tossico, una competitività anche scorretta infinita, che ha sancito però anche il fatto che legassi con delle persone come Fabio Turchi, come Guido Vianello che sono tutt'ora molto importanti nella mia vita. Quindi diciamo che mi ha reso la persona che sono adesso. Ho passato la selezione naturale che la Nazionale dell'epoca ti imponeva, sia a livello pugilistico che a livello caratteriale. Una cosa sicuramente positiva derivata dalla Nazionale è stata che per anni in tutta la mia carriera dilettantistica mi sono confrontato con i migliori, campioni mondiali, campioni olimpici. Essere sopravvissuto a tutto questo mi ha reso un pugile consapevole.
Irma Testa qualche anno fa in un'intervista parlando della squadra femminile ha detto: “La nostra forza? Saliamo insieme sul ring, se una va bene trascina le altre”. È questo che manca alla boxe italiana maschile?
Io la Nazionale femminile l'ho vissuta agli albori perché eravamo là insieme e questo squadrismo non l'ho visto... Ci sono i soliti gruppi, c'è chi ti sta più simpatico e quindi il tuo amico tifa più te che altri ma la verità è che la forza della Nazionale femminile è stato il metodo, che è mancato a quella maschile. Avere dei personaggi sul quale puntare per anni ha portato sicuramente a più risultati. Poi nella squadra maschile essendoci meno differenza fra il primo e il secondo ci sono continui capovolgimenti fra titolari e riserve. Secondo me questo è mancato all'Italia, oltre al discorso puramente di guida tecnica.
Qualche anno fa si era parlato di rilanciare il pugilato nazionale attraverso una maggiore valorizzazione del titolo italiano, può avere un senso?
Non ha alcun senso secondo me. Quello che non si capisce è che per vendere il pugilato ai giovani bisogna chiedere ai giovani quello che vogliono vedere. Questo non vuol dire traslare tutto su un discorso trash ma sicuramente creare personaggi che attirino. Il titolo conta relativamente, ti puoi giocare anche il titolo intercondominiale, ma se hai due personaggi che sanno muoversi, che sanno vendere, con un'immagine forte, che portano attenzione sullo scontro la cintura serve solo all'ego di chi sta combattendo. É l'ennesimo discorso che fa gente vecchia, che non ha idea di come funziona il mondo e che cerca di imporre la sua idea che non vende.
Il titolo conta relativamente, ma l'estrema confusione fra le federazioni e le cinture non ha forse un effetto respingente su chi si avvicina alla boxe? Che ne pensi di una svolta in stile UFC?
La frammentazione è l'ennesimo specchietto per le allodole. In altri mercati la frammentazione non importa a nessuno perché è il match e sono i personaggi che competono a portare attrazione. Io contro Luca Chiancone siamo stati fra i prodotti meglio venduti della boxe italiana, non di certo perchè ci siamo giocati un titolo wow ma perchè siamo due persone che hanno saputo attirare l'attenzione.
Quello contro Luca Chiancone è stato l'ultimo match di Dario Morello, in palio la cintura WBC del Mediterraneo in un'apoteosi di pubblico e boxe come non se ne vedevano da molto tempo alle nostre latitudini. Per Spartan è stata la ventitreesima vittoria da professionista, l'ottava di fila. Nel suo record una sola sconfitta, nel 2019 contro il britannico Luther Clay: che cosa hai provato in quei momenti?
Una sconfitta può influire negativamente quanto positivamente sul proseguo della carriera di qualcuno. Io ho attraversato un bruttissimo periodo dopo la sconfitta ma non per la sconfitta in sé quanto per la totale assenza di un management che avesse un progetto per rilanciarmi, e questa percezione mi aveva totalmente distrutto. Unito poi all'avvento del covid che mi ha tenuto praticamente un anno fermo. La sconfitta può fare solo che bene in alcuni contesti, può stroncare le carriere in altri ma sicuramente forte è chi ha un piano B.
C'è qualcosa che ti da più adrenalina di una vittoria?
Personalmente no, dalla fight night, alla fase di promozione alla vittoria in sé nulla nella mia vita mi dà questo tipo di emozione. Ne sono dipendente ed è il motivo per cui continuo a fare pugilato e non ho trovato mai niente di tanto soddisfacente nella mia vita nonostante abbia avuto uno vita molto intensa sotto tantissimi aspetti. Ad oggi il gusto di combattere e affermarsi fisicamente contro un altro credo sia difficile da eguagliare.
Diversi pugili sono diventati campioni dopo i 30 anni, per Dario Morello c'è ancora tempo?
Posso fare ancora cose grosse, anzi posso farlo adesso e non avrei potuto farlo prima. Sono migliorato, sono maturato, sono più forte sia tecnicamente sia fisicamente. Il Dario di 31 anni disintegrerebbe il Dario di 21 anni. Noi pugili italiani ed europei maturiamo tardi, se sarò appoggiato da forze importanti potremo ancora puntare a cose che vanno dall'Europa all'extra Europa.
Nella sua scalata verso la gloria il 16 novembre Morello affronterà Felice Moncelli, che gradino rappresenta questo match nella sua carriera?
È un pugile che tenevo d'occhio da un po', che avevo già contattato anni fa poi nulla di fatto. Penso che sia il match giusto per far vedere quanto valgo, è uno con le palle, uno molto duro, uno con uno stile che si matcha perfettamente al mio in termini di spettacolo. Pretendo da me una prestazione che zittisca tutti, che faccia capire veramente che adesso l'obiettivo è solo fuori dall'Italia. A 31 anni non mi posso perdere a fare faide locali che fanno like sui social e fanno arricchire solo altri e non me. Adesso voglio lasciare un segno nel firmamento della boxe e devo giocarmela livello internazionale. Moncelli battuto come pretendo di batterlo darà sicuramente forza alle parole che ho appena detto.